LA GUERRA RUSSO-UCRAINA E LA MINACCIA DELLA DISUNIONE EUROPEA

di Olivier Dupuis

Sullo sfondo della recrudescenza dei combattimenti in Ucraina, assistiamo a una moltiplicazione di segni di divisione in seno all’Unione europea.

Nel corso delle ultime settimane, Viktor Orban ha annunciato il suo sostegno al nuovo progetto di gasdotto che dovrà collegare la Russia alla Turchia e al quale gli Europei sarebbero invitati in modo pressante a collegarsi, rinunciando allo stesso tempo ai collegamenti via Ucraina. Per di più, il Primo ministro ungherese si appresterebbe a ricevere il presidente russo a Budapest.

Miloš Zeman, il presidente ceco, continua ad ostentare la sua differenza, sostenendo tenacemente che il Cremlino non è coinvolto nel Donbass. La Francia, dal canto suo, ha condotto dei negoziati bilaterali con la Russia per ristabilire le sue esportazioni di carne suina sospese da quando le autorità russe hanno decretato un boicottaggio dei prodotti agro-alimentari provenienti dall’Unione europea.

Robert Fico, il primo ministro slovacco, non fa mistero di una certa comprensione nei confronti di Mosca, mentre Sofia viene sottoposta ad una pressione enorme, in ragione, fra l’altro, degli importanti investimenti russi in Bulgaria. Cosa molto più preoccupante, l’ascesa al potere di Syriza e del Partito dei Greci indipendenti(ANEL) ha portato alla luce o forti legami intessuti tra personalità di primo piano di questi due partiti con personalità russe conosciute per il ruolo importante che svolgono nell’attuazione del progetto imperiale di Vladimir Putin.

Tutto questo è estremamente preoccupante. Un po’ perché rafforza il padrone del Cremlino nella convinzione che la sua politica intesa a dividere l’Europa funzioni, ma soprattutto perché mette a rischio i risultati, per quanto insufficienti siano, raggiunti finora grazie alla politica portata avanti congiuntamente dall’Europa e dagli Stati Uniti. Col rischio che si arrivi rapidamente a una ridiscussione di questa politica.

La cosa sarebbe tanto più grave in quanto la chiave del successo della politica occidentale di sostegno all’Ucraina e di “contenimento” del regime russo è la durata. La questione, quindi, non è sapere se la politica delle sanzioni coniugata al calo del prezzo dei prodotti petroliferi funzioni – perché funziona – ma di sapere quando produrrà degli effetti significativi e se questi basteranno.

Il mantenimento a livelli senza precedenti della percentuale di bilancio della Federazione russa destinata al settore della difesa nel 2015, così come il livello delle riserve accumulate da Mosca, bastano a dimostrare che questa politica ha bisogno di tempo per dare dei risultati. Secondo l’economista russo Andrei Illarionov(1), almeno diciotto mesi, se non addirittura due anni, saranno necessari perché questa politica produca degli effetti seri sul regime.

È di conseguenza urgente affiancare una politica di breve termine a questa politica a medio termine. Essa deve, secondo noi, integrare due livelli d’intervento e soddisfare un’esigenza preliminare.

Esigenza preliminare: preservare l’unità europea
I primissimi segnali inviati dal nuovo governo greco riguardo alle sanzioni dell’UE nei confronti della Russia non possono sorprendere, quando si conoscono i rapporti intrattenuti da certi grossi nomi di Syriza e del Partito dei Greci indipendenti con dubbie personalità russe. Certo, non fanno presagire nulla di buono quanto alla coesione europea su questo punto. O, più esplicitamente, prefigurano una politica latente di veto: uno Stato rischia di bloccare tutti gli altri o una stragrande maggioranza di essi.

Per evitare di ritrovarsi in questa situazione insostenibile, gli stati membri dell’UE potrebbero, in una sorta di scambio di cortesie, accettare un ammorbidimento delle condizioni di gestione del debito greco, collegando per esempio il pagamento dei debiti al tasso di crescita come chiede Yanis Varoufakis, il nuovo ministro delle finanze, mentre la Grecia riconoscerebbe che una politica comune nei confronti dell’Ucraina e della Russia costituisce un interesse vitale per l’Unione. Sulla base dell’articolo 48 par. 7 del Trattato (la clausola detta “passerella”), i 28 potrebbero decidere all’unanimità che tutte le decisioni che riguardano la politica dell’Unione nei confronti della Russia e dell’Ucraina e nei confronti degli altri Paesi del partenariato orientale (Armenia, Azerbaigian, Bielorussia, Georgia e Moldavia) e della Macedonia sarebbero d’ora in poi prese a maggioranza qualificata.

Consentire all’Ucraina di difendersi
Primo livello di intervento: la fornitura di armamenti. Sempre più persone cominciano a riconoscerlo: senza armamenti adeguati, l’Ucraina incontrerà grandi difficoltà ad assicurare perfino le sue linee di difesa intorno al Donbass occupato dall’esercito russo e dai suoi scherani. In seguito alla decisione presa durante l’ultimo vertice della Nato, qualsiasi iniziativa in questo campo è di competenza dei singoli stati membri dell’organizzazione atlantica. Se è vero che questo costituisce un fatto positivo, in quanto nessuno stato dispone di un diritto di veto, sarebbe tuttavia politicamente auspicabile che un certo numero di stati dell’Unione – a cominciare dai più grandi – annunciassero una decisione comune in questo senso.

Ancorare le riforme a Kiev
Il secondo livello di intervento, altrettanto importante, riguarda il sostegno al processo di riforme in corso a Kiev, in particolare nel settore della giustizia e della polizia. I mezzi finora sbloccati dall’Unione europea sono assolutamente insufficienti. La crisi economica che colpisce l’Unione europea e la debolezza delle risorse disponibili costituiscono solo una parte della spiegazione.

Alcuni stati membri non hanno ancora compreso la reale misura della posta in gioco ucraina. In un tale contesto, l’instaurazione di una tassa sul petrolio e sul gas russoproposta da Paul De Grauwe(2) all’indomani dell’annessione della Crimea da parte della Russia rimane secondo noi, ad oggi, il migliore modo per liberare dei fondi all’altezza della sfida.

Il calo dei prezzi dei prodotti petroliferi avvenuto nel frattempo dovrebbe peraltro facilitarne l’attuazione. Come sottolinea questo professore della London School of Economics, la maggiorazione del prezzo per i consumatori europei verrebbe rapidamente annullata per via della necessità per il fornitore russo di allineare i propri prezzi su quelli dei suoi concorrenti. Instaurando una “tassa Crimea” ed una “tassa Donbass”, l‘Unione europea potrebbe far sostenere una parte sostanziale dei costi del processo di riforme in Ucraina e delle future operazioni di ricostruzione al Paese aggressore.

Negoziati?
Le reiterate violazioni degli accordi di Minsk da parte della Russia e dei suoi seguaci precludono qualsiasi ulteriore tentativo di altri negoziati di quel tipo. Tuttavia, le conclusioni da trarre non si possono limitare a ciò. Il comportamento della Russia deve portare gli Occidentali a prendere atto che, almeno per il momento, Mosca non ha nessuna intenzione di negoziare, che intende al contrario perseguire e intensificare la sua politica imperiale in Ucraina e, attraverso l’Ucraina, la sua politica di destabilizzazione dell’Unione europea in quanto tale.

Di fronte a questa guerra che riguarda direttamente l’Unione europea, non si può più consentire a degli stati membri di nascondersi dietro a un presunto ruolo di mediazione(3). I Capi di stato e di governo dell’Unione hanno già stabilito che, vista la gravità della situazione, incombe su di loro il dovere di assumerne direttamente la responsabilità. È giunto il momento che questi la assumano collettivamente e che affidino a Donald Tusk, il Presidente del Consiglio europeo, il compito di parlare a nome dell’Unione e di coordinare l’insieme delle iniziative da portare avanti per impedire alla Russia di realizzare i suoi disegni imperiali.

Note al testo:

(1) “Ukrainians Cannot Count on Sanctions or Falling Oil Prices to Stop Putin, Illarionov Says”, Paul Goble, The Interpreter, 2 dicembre 2014
(2) “Is een Europese taks op Russisch olie en gas een optie?”, Paul De Grauwe, De Morgen, 4 marzo 2014
(3) “Je ne suis pas certain que la France, si elle veut conserver avec l’Allemagne une capacité de dialoguer avec les Russes, soit la mieux placée pour livrer des armes aux Ukrainiens” in “Armer l’Ukraine pour qu’elle se défende, pourquoi pas?”, Arnaud Danjean, le JDD, 1 febbraio 2015

Putin condanna l’attacco a “Charlie Hebdo” ma i suoi alleati ideologici lo sostengono

di  

Vladimir Putin ha seguito il percorso degli altri leader mondiali e ha doverosamente condannato l’attacco islamista alla rivista francese “Charlie Hebdo”. Ma nei minuti immediatamente successivi all’attentato omicida, secondo quanto documentato da un blogger ucraino, i propagandisti russi vicini al Cremlino hanno riempirto i social network con messaggi e tweet di sostegno ai terroristi, secondo un blogger ucraino.

Nel riferire le sue scoperte, il blogger, ha prodotto foto dei post dei propagandisti russi contenenti linee di pensiero come “Ho appena scoperto questo e sono a favore di chi ha sparato. Ci deve essere una censura sulla stampa, e se non vuoi sentirti limitato, allora poi paghi con la vita”.
Newssky.com.ua ipotizza che i contenuti dei messaggi erano tutti così simili tra loro tanto da sollevare il dubbio che gli autori agissero seguendo istruzioni (newssky.com.ua/v-moskve-raduyutsya-teraktam-al-qaeda-v-parizhe/#.VK5XtI0o5Ms)


Questo pare improbabile – in quanto questi russi sembrano aver espresso semplicemente le proprie opinioni – ma come la stampa ha sottolineato, “non c’è nulla di sorprendente e nessuna simpatia ipocrita sarà in grado di mascherare il fatto che Putin, sia dal punto di vista della diplomazia, sia finanziarimante che mediante la fornitura di armi, abbia aiutato il dittatore siriano Bashar Assad “e che” il Cremlino non abbia nascosto il suo sostegno ai gruppi terroristici in Medio Oriente “.

Inoltre, come Vladimir Varfolomeyev, un giornalista di Ekho Moskvy (l’Eco di Mosca) ha sottolineato, tra i suoi conoscenti, quelli che “non condannano l’attacco alla rivista [francese] sono quasi sempre le stesse persone con cui è sempre dibattutto su Putin, Crimea, Donbas e così via “(echo.msk.ru/blog/varfolomeev/1470028-echo/).


L’incapacità di condanna per gli attacchi terroristici da parte di coloro che sostengono Putin. afferma il giornalista, dimostra come oggi ci sia semplicemente un abisso tra chi sente la necessità di farlo e chi no. Da una parte ci sono coloro che sostengono i diritti umani e l’ordine internazionale, dall’altra stanno quelli che non lo fanno.

Yevgeny Ikhlov, un commentatore di Mosca, estende l’argomento sostenendo come sia importante che la gente capisca come “la differenza tra i terroristi … a Parigi e Putin … sia una questione di quantità ma non di qualità”, e ciò riflette il controllo che il Cremlino ha già sulla Russia rispetto alla mancanza di controllo da parte di Al Qaeda e dello Stato islamico (kasparov.ru/material.php?id=54AD91A2AE76A).


Ikholv afferma come questa differenza significhi che il governo russo oggi con il suo “‘chekismo ortodosso’ può consentirsi di usare” metodi relativamente vegetariani “per imporre la propria volontà, mentre Al Qaeda e lo Stato Islamico devono ancora agire” come i cekisti del 1930 o come le hitleriane truppe d’assalto e gli ufficiali della Gestapo “che hanno bisogno di versare sangue per imporre la propria causa.

In realtà, continua il commentatore, “l’ideologia del ‘mondo russo’ e l’ideologia del ISIL dal punto di vista dei processi di civiltà sono fratelli gemelli. Gli ‘Eserciti’ Donbas e i ‘partigiani’ di Odessa sono gli ‘Al Qaeda’ del ‘mondo russo,’ il secondo fronte della lotta contro la civiltà europea”.

Il parlamentare estone Marko Mikhelson estende questo concetto e punta ad una comunanza di fondo tra la violenza terroristica dell’attacco a Parigi ed il comportamento di Mosca in Ucraina: “Le più grandi sfide per l’Europa sono diventate l’estremismo islamico … che nega tutti i confini e il revisionismo” delle frontiere “praticato dalla Russia” (regnum.ru/news/polit/1882846.html).


http://euromaidanpress.com/2015/01/09/putin-condemns-charlie-hebdo-attack-but-his-ideological-allies-support-it/

Come i russi vengono reclutati e mandati a combattere in Ucraina.

Newsweek.com

A Ekaterinburg, la città principale degli Urali i Russia, l`ufficiale dell’esercito in pensione, Vladimir Yefimov recluta veterani dell’esercito al fine di farli combattere per la Russia nel sud-est dell’Ucraina, a più di 1.000 miglia di distanza.

Sebbene il dispiego da parte della Russia di truppe dell’esercito e di combatenti russi “volontari” in Ucraina non sia una novità, Yefimov descrive in dettaglio come vengono selezionati i veterinari dell’esercito russo, organizzati e pagati per unirsi alle azioni di guerra. Nel suo racconto sottolinea come l’esercito dei russi “volontari” sia gestito con almeno lil tacito assenso del Cremlino.

Yefimov è un ex ufficiale che ha militato nelle forze speciali (Spetsnaz) e che ora dirige la Fondazione per i Veterani delle Forze Speciali della Regione di Sverdlovsk. In un’intervista a Yekaterinburg Online, un sito web di notizie locali (http://www.e1.ru/news/spool/news_id-416966.html

), afferma di avere inviato tra 150 e 250 combattenti nella zona di guerra del Donbas dell’Ucraina quest’anno.

Per quanto affermi che i suoi combattenti siano “volontari”, piuttosto che mercenari, afferma anche che questi sono pagati con stipendi: da € 1.000 al mese per un soldato semplice di basso rango a $ 2.000 a $ 4.000 per gli ufficiali. Yefimov non risponde tuttavia alla domanda del giornalista su chi paghi gli stipendi ….. Molti combattenti sono motivati dalla propaganda dei media controllati dal Cremlino, dice Yefimov.

“La nostra stampa e la televisione presentano fatti drammatici. Il popolo russo non può tollerare il terrore che i fascisti hanno organizzato lì [in Ucraina]. Uccidere donne, bambini e anziani. La maggior parte di quelli che vanno [a combattere] sono sensibili ed empatici; vogliono aiutare. Questo è particolarmente vero per le persone dai 40 ai 60 anni di età, che sono stati tirati su sotto le tradizioni sovietiche”. Altri combattenti sono motivati ad andare perché gli manca l’adrenalina della guerra o per guadagnare soldi, ha inoltre sostenuto.

Inizialmente i combattenti russi sono stati mandati in Ucraina come “scorta” per i camion di aiuti della Croce Rossa, dice Yefimov, ora vengono inviati tramite i convogli di “aiuto umanitario” sotto la supervisione del Ministero paramilitare delle Situazioni di Emergenza.

In un’intervista pubblicata il giorno dopo quella di Yefimov, il direttore della Croce Rossa di Mosca, Igor Trunov, dice che l’invio di “convogli umanitari” russi verso l’Ucraina è una violazione del diritto umanitario internazionale, e sottolinea come sia molto probabile che i “convogli Putin” abbiano portato armi nell`area del Donbas controllata dalle milizie [separatiste].

“Non voglio lanciare pietre nel giardino delle nostre istituzioni, del nostro stato …. ma c`è una legge che regola il diritto internazionale. Cos`è il Ministero delle Situazioni di Emergenza? E`un organo paramilitare dello Stato russo. E come una struttura paramilitare è entrata nel territorio di un altro Stato? … Questa e` una invasione. Questa e` una violazione che non puo` essere fatta”.

Con l`intervista di Yefimov, “un russo ha confermato ciò che la Russia ha fatto”, scrive lo studioso dell`Eurasia Paul Goble, sottolineando “il livello di dettaglio che fornisce, le fotografie dei soggetti coinvolti, e le riproduzioni delle forme che lui ei suoi compagni utilizzano svolgendo il loro compito.(http://windowoneurasia2.blogspot.com/2014/12/window-on-eurasia-russians-used.html)

http://www.newsweek.com/how-russians-are-sent-fight-ukraine-296937

IL RUOLO DELLA FRANCIA NELL’UE (E DELL’UE NEL MONDO)

di Olivier Dupuis

Mantenere il proprio rango. Il concetto ha un che di antiquato, un profumo di “ancien régime“. Tuttavia, è questo che, nella testa della classe dirigente francese, presiede ancora oggi alla definizione del ruolo e della posizione della Francia nel mondo. Ma di quale rango si parla? Quello passato, della Francia-grande potenza, con un ritorno alle alleanze di retroguardia come alcuni sembrano preconizzare? Sarebbe un suicidio, poiché comporterebbe la distruzione di tutto l’edificio europeo, pazientemente costruito sin dagli anni ’50 del secolo scorso.

Per definire il rango della Francia oggi serve quindi, secondo noi, una rottura concettuale. Si tratta di “pensare” il passaggio dall’idea di un’Europa strumentale ai disegni della Francia a quella di una Francia inscritta nel cuore dell’Europa.

Lo stravolgimento dell’ordine europeo sotto i colpi d’ariete del regime russo, il ritorno in Europa delle guerre di conquista e dell’annessione di territori con la forza,il disegno manifesto da parte di una potenza straniera di far implodere l’Unione Europea, lo spostamento del baricentro della politica estera degli Stati Uniti verso l’Asia, l’indebolimento della Nato: tutti questi fenomeni rendono particolarmente visibile la necessità di elevarsi ad un livello finora mai visto di partecipazione, di impegno e di responsabilità nell’impresa europea.

Questo vale evidentemente per tutti i Paesi Membri dell’Unione – e per tutti i cittadini europei – ma vale ancora di più per la Francia, proprio in ragione della capacità, che essa ha saputo mantenere, di “comprendere la grande strategia e l’esercizio del potere in tutte le sue dimensioni”(1).  Se il Paese che, più di ogni altro sul continente europeo, si è voluto dare i mezzi di una autonomia strategica(2) non è più oggi in grado di mantenere il suo rango, non è per ragioni congiunturali – la crisi economica – ma per ragioni ben più profonde, strutturali, ovvero semplicemente aritmetiche. Come già testimonia lo stallo tecnologico in settori vitali come, per esempio, gli aerei da caccia, le forze aeronavali, i droni, la cyber-guerra… Un Paese di 65 milioni di abitanti non può rimanere in corsa da solo, quali che siano la sua volontà ed il suo genio.

Come nel maggio 1950, quando Robert Schumann e Jean Monnet cambiarono, nello spazio di un giorno, il destino dell’Europa e allo stesso tempo riuscirono a reinserire una Francia ancora prigioniera della sconfitta del 1940 al centro della storia del continente(3), siamo convinti che un’iniziativa risoluta e circoscritta di Parigi – ieri il carbone e l’acciaio, oggi un esercito comune e una decisa politica a favore di un ancoraggio solido dell’Ucraina all’Unione – sarebbe un passo decisivo per ridare fiato al progetto europeo e insieme per superare la grande crisi di identità che la Francia sta attraversando.

 

Premessa: un new deal fra la Gran Bretagna e il “continente”

Non affrontare la questione britannica (o, più precisamente, la questione dell’esistenza di due progetti diversi secondo la formula di Jean-Louis Bourlanges, quello di “una Europa forte, organizzata e solidale” da una parte e di un’Europa “di circolazione e di scambio”(4) dall’altra) rafforza i sentimenti antieuropei in Gran Bretagna, asseconda una logica di disintegrazione e di disaffezione da parte dei cittadini rispetto al progetto europeo e contribuirà, nel medio termine, all’indebolimento se non allo smantellamento dell’Unione europea.

Continuare a ripetere, come un mantra, che nessuna revisione dei Trattati sia possibile significa chiudere David Cameron nella trappola che gli hanno teso i fautori del ritorno al passato glorioso del Paese di Sua Graziosa Maestà; ma significa anche perpetuare, in seno all’Unione, il gioco comodo delle alleanze di circostanza a scapito delle scelte politiche. D’altra parte, pregare i Britannici, come fece Michel Rocard, di lasciare l’Unione Europea significa trovarsi un capro espiatorio a buon mercato al quale imputare tutte le incapacità degli altri Stati membri; significa privarsi, a breve e a medio termine, del valore aggiunto britannico.

 

Preservare l’avvenire

La Francia potrebbe affrontare di petto la questione e proporre agli altri Stati Membri dell’Unione di costruire un deal, un deal vero e serio, con la Gran Bretagna: la divisione del trattato dell’Unione in due parti. La prima riprenderebbe tutti i dispositivi relativi al grande mercato. Sarebbe l’Europa delle quattro libertà di circolazione – compresa, certo, benché a certi britannici dispiaccia, quella delle persone. Il Regno Unito (come pure, eventualmente, altri stati desiderosi di limitare la loro partecipazione al progetto europeo) potrebbe ritirarsi da tutte le politiche comuni (agricoltura, aiuti strutturali, affari esteri, giustizia…), pur mantenendo il diritto di partecipare – senza però diritto di voto – a tutti i dibattiti sulle politiche portate avanti nell’UE dagli stati desiderosi di approfondire la costruzione europea.

Come contropartita, tuttavia, il Regno Unito accetterebbe di ratificare una modifica dei Trattati che preveda l’estensione del voto alla maggioranza qualificata, la trasformazione del Consiglio in un vero Senato europeo, la soppressione delle presidenze di turno, l’elezione del presidente della Commissione a suffragio universale, nonché di rimanere parte della Convenzione europea dei Diritti dell’Uomo.

 

Un esercito europeo comune

Di fronte agli sconvolgimenti strategici in corso, la questione della difesa dell’Europa da parte dell’Europa acquisisce un’importanza finora inedita. Tuttavia, rari, molto rari, sono coloro che richiedono un’iniziativa risoluta dell’Europa in questo campo. Tutt’al più, si sentono, di qua e di là, appelli a rafforzare i contributi degli stati membri alla Nato. L’Organizzazione atlantica rimane, sembra, un orizzonte insuperabile, l’unico e ultimo riferimento.

Se però, come altri, crediamo che la presenza di due o tre divisioni alle frontiere orientali dell’Unione avrebbe molto probabilmente potuto scongiurare lo scenario catastrofico al quale assistiamo oggi, l’incapacità della Nato a mobilitare politicamente e militarmente dei mezzi di dissuasione sufficienti per impedire l’invasione della Crimea e di una parte del Donbass deve necessariamente porci degli interrogativi.

Un’Europa ristretta deve “passare il Rubicone” di una politica autonoma di difesa e impegnarsi a costituire non già un esercito unico, ma un esercito comune sufficientemente forte da poter divenire progressivamente un vero e proprio centro di gravità della politica europea di difesa e di sicurezza. Essendo il Paese che dispone del migliore apparato militare e, soprattutto, della pratica politica dell’impegno, la Francia sarebbe, in quest’ipotetica Unione ristretta, il Paese che potrebbe meglio prendere la leadership di una tale iniziativa.

Le condizioni politiche per il successo di un’iniziativa del genere sono note: si tratta “semplicemente” di passare dal registro intergovernativo al registro comunitario, di avere l’audacia di affidare al triangolo istituzionale classico – la Commissione, il Parlamento europeo e il Consiglio (e quindi gli Stati membri) – la responsabilità di questo esercito comune, con, per dargli una legittimità forte, un dispositivo transitorio che preveda l’approvazione di tutte le decisioni d’intervento da parte di un Alto Consiglio di Sicurezza(5) composto dai capi di stato e di governo dei Paesi partecipanti alla Cooperazione Strutturata Permanente in materia di difesa.

Dal punto di vista dell’industria degli armamenti, la diagnosi è tanto nota quanto senza possibilità d’appello. In mancanza della nascita di grandi attori trans-europei, l’Europa è condannata a nuovi fiaschi economici e commerciali come quello dei due aerei da caccia concorrenti di quarta generazione (Eurofighter e Rafale) degli anni 70/80 dovuto, non come una certa vulgata tende a far credere, a disaccordi tra militari, ma, ben più fondamentalmente, all’opposizione di lobby industriali-militari preoccupate di mantenere le proprie rendite di posizione. Risultato: oltre ai costi aggiuntivi, i Paesi europei (e le loro imprese specializzate) sono tutti assenti cronici all’appuntamento con l’aereo di quinta generazione e non lavorano su nessun progetto di sesta generazione. La conclusione che si può trarre da questi fatti è che certe imprese hanno posto ostacoli sostanziali alla costruzione di una politica di difesa europea e rappresentano, di conseguenza, minacce reali alla sicurezza europea.

Serve un approccio nuovo, teso a creare delle imprese trans-europee tenendo conto sia degli investimenti realizzati nel corso degli ultimi settant’anni da alcuni stati membri, sia della volontà di altri stati membri di impegnarsi di più in futuro. Nel campo dell’aeronautica militare, la Francia detiene la chiave di una possibile iniziativa. In effetti il governo francese avrebbe i mezzi politici e giuridici per creare, a partire dalle attività militari del gruppo Dassault di cui Airbus – e quindi Germania, Francia e Spagna – detiene già il 45% delle azioni, un grande gruppo europeo, nuova filiale di Airbus, il cui capitale sarebbe aperto agli altri Stati europei (o a imprese di questi Stati(6) ) che desiderino entrarvi (Polonia, Italia, Ucraina fra gli altri).

Nel settore della costruzione navale militare, la creazione di un esercito europeo comune che comprenda fra l’altro tre o quattro gruppi aeronavali(7), potrebbe mettere un termine all’inerzia attuale in termini d’integrazione. La partecipazione agli appalti dell’esercito europeo comune potrebbe essere aperta solo alle imprese sostanzialmente plurinazionali, al fine di incoraggiare i grandi cantieri navali europei(8) a raggruppare le loro attività militari in due o tre filiali comuni(9) e concorrenti. Se ciò non avvenisse, l’Europa confermerebbe il suo lento declino strategico(10) in questo campo e rischierebbe, a medio termine, di vedere scomparire le competenze che qualche raro stato membro possiede ancora.

 

Priorità Ucraina

Più che le sanzioni, certamente necessarie almeno in quanto dimostrano una certa unità dell’Europa e, più in generale, dell’Occidente, ciò che più teme oggi il regime russo è un rovesciamento della propria opinione pubblica in seguito a perdite umane massicce nel corso di una nuova offensiva in Ucraina. Sono quindi gli Ucraini da soli, in assenza di mezzi militari europei e atlantici in grado di assicurare una dissuasione effettiva, ad essere in prima linea davanti a un regime che ha deciso di ignorare le regole internazionali tese a rendere possibile la coesistenza tra gli stati. Lasciarli soli di fronte a un regime aggressore che non esita a dispiegare mezzi militari considerevoli in armamenti e in uomini e che, dal punto di vista politico, ricorre a diversi metodi ben conosciuti (destabilizzazione, infiltrazione, ricatto, disinformazione…) sarebbe semplicemente suicida per l’Europa.

Oltre alla fornitura degli armamenti difensivi (e dissuasivi) necessari, l’Unione Europea deve mandare un segnale politico forte invertendo la logica attuale che fa dell’adesione dell’Ucraina una prospettiva lontana, il compimento di un lungo cammino. L’aggressione subìta dall’Ucraina è un’eccezione; la risposta dell’Europa deve essere dunque eccezionale.

A differenza di tutti gli altri Paesi candidati alla candidatura, e senza che ciò implichi una qualsiasi edulcorazione dei criteri da rispettare, il processo di adesione dell’Ucraina all’UE deve essere aperto immediatamente per accompagnare l’insieme del processo di riforme e di modernizzazione del Paese, per creare il clima di fiducia necessario a garantire investimenti sostanziosi da parte delle imprese europee.

Di fronte al “terremoto geopolitico” che sta investendo l’Europa, l’idea per cui la Francia dovrebbe prima mettere ordine nei suoi conti è sterile. L’Europa ha oggi un crudele bisogno della Francia e della sua capacità d’influenza internazionale, per elevarsi all’altezza delle sfide che ha davanti. Da parte sua, la Francia non potrà superare la sua “crisi d’identità”, la sua subalternità incosciente ai cantori di una realtà che non esiste più, se non riprendendo la leadership europea, per creare non già una Europa-Potenza ma una Europa-Decenza, una Europa in grado di mantenere la propria parola, di far seguire adeguatamente i fatti alle proprie dichiarazioni d’intenti.

Note al testo:

1 “The Case for Berlin: Bringing Germany Back to the West”, Jeffrey Gedmin, World Affairs, novembre/dicembre 2014. Nostra traduzione.
2 Ancorché relativa, in ragione dell’appartenenza mai smentita della Francia alla Nato.
3 Jean-Louis Bourlanges, “Identité européenne et ambition française”, Commentaire, numero 147/Autunno 2014
4 Jean-Louis Bourlanges, op. cit.
5 Secondo la formula del diplomatico Pierre de Boissieu.
6 Fra gli altri, Alenia-Aermacchi (Italia), Antonov (Ucraina), Saab (Svezia).
7 Integrando i due Mistral che non potranno essere consegnati alla Russia.
8 DCNS (Francia), Fincantieri (Italia), TKMS (Germania), Navantia (Spagna), Donbass ISD Polska (Polonia, Ucraina), Damen (Paesi-Bassi), Odense (Danimarca) …
9 Riunendo imprese di almeno tre o quattro Paesi diversi.
10 Resta inteso che un solo gruppo aeronavale ha un valore strategico vicino a zero, in particolare se questo viene articolato attorno ad una portaerei a propulsione nucleare, bisognosa di manutenzione per quasi sei mesi all’anno.

 

http://stradeonline.it/istituzioni-ed-economia/834-il-ruolo-della-francia-nell-ue-e-dell-ue-nel-mondo

UNA NUOVA POLITICA DI DIFESA EUROPEA, PER RISPONDERE ALLA MINACCIA DI PUTIN

di Olivier Dupuis e Bernard Barthalay

Uno degli elementi più inquietanti del modo in cui l’affare ucraino viene generalmente affrontato, risiede nel modo in cui la questione della natura del regime politico del paese aggressore viene omessa. Certo, la Russia di oggi non è l’Urss staliniana e neppure brezneviana, né la Germania nazista, né l’Italia fascista, e neanche la Cina bolscevico-confuciana. È un po’ di tutto questo ed è, allo stesso tempo, qualcosa di completamente diverso. Un potere di natura nuova, straordinariamente moderno, che ha sostituito il partito unico, struttura centrale del regime precedente, con le strutture di forza (servizi segreti in primo luogo), svuotando progressivamente della loro sostanza le strutture democratiche degli anni ’90.

Anche formalmente si stanno moltiplicando i segnali che dimostrano la rapida trasformazione del sistema vigente in Russia. Oltre a una giustizia di regime sulle questioni politiche sensibili, a un parlamento fantoccio e a mass-media nella loro stragrande maggioranza addomesticati, è ormai lo stesso governo russo ad essere marginalizzato. Il centro del potere si è spostato verso la dacia di Putin dove le decisioni sono prese dal principe, circondato, sembra, dal capo del FSB e da sei o sette capi di dipartimento dei servizi, dal ministro della difesa, Sergei Shoigu, e da pochi altri. Quanto al sostegno dell’opinione pubblica alla politica del potere, regge in maniera impressionante. E seppure mai dovesse affievolirsi, il potere può contare su un sistema repressivo tanto più temibile in quanto è riuscito a compiere la sua mutazione da quantitativo a qualitativo, dalla sorveglianza-repressione a tutto campo verso un controllo-repressione mirato degli oppositori interni. Sul fronte esterno, i servizi russi hanno rinnovato le loro pratiche, associando alle tecniche tradizionali di seduzione e di corruzione, un ricorso massiccio alle partecipazioni nei settori economici più variegati. In un tale contesto, sarebbe illusorio sperare in un cambiamento di regime a breve o medio termine.

Senza una tale presa di coscienza, l’Europa rischia di fare sempre troppo poco, sempre troppo tardi. Il regime russo ha già vinto due battaglie: la Crimea è stata annessa, una parte della regione di Donetsk e Luhansk è stata, di fatto, trasformata in una nuova “Transnistria”. Una terza battaglia per il controllo dell’insieme del litorale ucraino intorno al mare di Azov e fino alla Crimea è già da ora cominciata. Sul fronte esterno, il regime segna dei punti. Viktor Orban, il primo ministro ungherese, si è schierato tra gli apologeti del padrone del Cremlino. Gli “avvertimenti” si stanno moltiplicando: ultimi in ordine di tempo, il rapimento da parte di membri dei servizi russi di un ufficiale di polizia estone, un calo senza preavviso delle forniture di gas alla Polonia.

Si rassegnino i sostenitori ad oltranza del soft power sempre e comunque, le sanzioni contro la Russia, seppur necessarie, non potranno svolgere un ruolo decisivo per fermare l’aggressione russa in Ucraina e, inoltre, per opporsi con successo alla politica russa che mira a far implodere l’Unione europea. Sono ormai indispensabili delle misure politiche di un tutt’altro ordine.

L’attuazione di un’audace politica europea dell’energia con l’obiettivo di porre fine alla dipendenza nei confronti del gas russo, necessaria per bloccare la politica del divide et impera del Cremlino.

L’apertura immediata del processo di adesione dell’Ucraina all’UE, fondamentale per accompagnare e confortare il processo di radicamento della democrazia e dello stato di diritto in corso in Ucraina.

La fornitura apertamente rivendicata dall’UE di armamenti difensivi all’esercito ucraino (armamenti anti-carri e anti-aerei), indispensabile per rafforzare le capacità di dissuasione dell’Ucraina.

Ma il crollo dell’ordine europeo provocato dalla guerra non dichiarata della Russia all’Ucraina costringe ormai l’UE e i suoi stati membri ad affrontare collettivamente la questione della loro sicurezza e della difesa dei loro cittadini, dei loro territori e dei valori che insieme e separatamente intendono incarnare.

L’obiezione è nota: una difesa europea non potrà essere che la conclusione del processo di integrazione europea. Eppure sessant’anni dopo il fallimento della Comunità Europea di Difesa (CED) e dopo molteplici iniziative di cooperazione bi o multilaterali nel settore senza sostanziali conseguenze politiche, crediamo che sia venuto il momento di capovolgere la logica e di considerare che, più ancora della sua utilità intrinseca in termini di sicurezza, la creazione di un esercito europeo comune contribuirà in modo determinante, di per sé, a indurre gli stati europei a definire finalmente l’elenco delle loro priorità strategiche comuni.

È quindi giunto il momento, per gli stati membri dell’Unione che lo desiderano, della creazione di un esercito europeo comune accanto ai loro rispettivi  eserciti nazionali. Non un’ennesima iniziativa intergovernativa, un conglomerato di forze nazionali senza ossatura politica, ma un esercito comunitario, composto da soldati europei, sotto l’autorità del presidente della Commissione, con dotazioni iniziali senz’altro modeste (0,20 % del bilancio degli stati partecipanti), ma sufficiente per consentire la creazione di due divisioni di intervento rapido e di due forze aeronavali di stanza in Polonia ed in Romania e, perché no, organizzate intorno ai due Mistral inizialmente ordinati dalla Russia. Gli orientamenti strategici e le regole di ingaggio di questo esercito sarebbero sottoposte all’approvazione del Consiglio dei Ministri degli Affari esteri e del Parlamento europeo.

Oltre a contribuire attivamente alla sicurezza dei cittadini europei, la creazione di questo esercito potrebbe contribuire a portare gli Europei a percepirsi collettivamente o, in altri termini, a “pensare europeo”.

http://stradeonline.it/istituzioni-ed-economia/761-una-nuova-politica-di-difesa-europea-per-rispondere-alla-minaccia-di-putin

FOCUS UCRAINA / Donbass: quando fascismo e “antifascismo” si danno la mano

Nel corso di questi mesi su Crisi Globale ho riservato una particolare attenzione al tema del ruolo dei neofascisti nella crisi ucraina. Sul “lato di Kiev” con un’ampia analisi in cui, al di là delle mistificazioni di una parte della sinistra italiana, si sottolineava il reale pericolo rappresentato dai neofascisti del Pravy Sektor, nonché con un altro articolo in cui si denunciava da una parte il loro riemergere a Kiev con una serie di azioni squadriste e dall’altra il ruolo del battaglione neofascista Azov. Sul lato “lato del Donbass” documentando nei dettagli come la “Repubblica Popolare di Donetsk” sia frutto fin dal suo inizio di un progetto di neofascisti collegati alla Russia e come il loro ruolo egemone si sia fatto ancora più evidente con il tempo. Nel denunciare il ruolo dei neofascisti dall’una e dall’altra parte della barricata ho sempre fatto un fondamentale distinguo, sulla base dei fatti: mentre a Kiev fascisti ed estrema destra vengono tollerati da un regime di natura diversa dalla loro che li utilizza come manodopera in un battaglione, nel Donbass i fascisti e l’estrema destra sono all’origine stessa delle due “repubbliche” di cui continuano a mantenere il controllo, grazie soprattutto al sostegno militare e ideologico dell’imperialismo russo. In Italia (ma non solo in Italia) una fetta non trascurabile della sinistra da una parte si è adeguata in toto alla propaganda del Cremlino amplificandone la guerra d’odio disinformativa (“l’Ukraina [sic] è il più grande laboratorio per il neonazismo internazionale”, scrive la Banda Bassotti, sulla quale torniamo sotto), dall’altra ha chiuso gli occhi, fino a giungere a grottesche acrobazie interpretative, sui neofascisti egemoni nel Donbass, appoggiandoli senza riserve. Il pericolo fascista continua a essere attuale a Kiev, dove il comandante del battaglione Azov, Andriy Biletskiy, è entrate a fare parte degli organi dirigenti del nuovo partito di Arseniy Yatsenyuk, il “Fronte Popolare”, e dove è avvenuta un’aggressione squadrista, la cui matrice è chiaramente di estrema destra, contro Vasil Cherepanin, un’intellettuale di sinistra che aveva preso parte a Maidan. Nel Donbass i neofascisti continuano a essere ai vertici delle organizzazioni separatiste, anche se orwellianamente sotto (vaghi) slogan antifascisti. Con la recente tregua l’estrema destra del Donbass si trova di fronte alla possibilità di creare un proprio stato anche se, essendo più che altro marionette di Putin, gli sviluppi futuri dipenderanno essenzialmente dalla volontà del loro padrone. In questo articolo ci concentriamo su alcuni sviluppi recenti nell’ambito del neofascismo “filorusso”, e in particolare di eventi nei quali è riuscito a trovare un’eco internazionale, anche a sinistra. Nell’ultima parte analizziamo le modalità con le quali alcuni settori della sinistra italiana sono giunti a dare il loro sostegno ai fascisti del Donbass.

La “nuova Yalta” di sinistra e quella di destra: due capitoli della medesima storia

A Yalta si sono tenute quest’estate due conferenze “gemelle” che esemplificano la strategia perseguita dal Cremlino e dai neofascisti del Donbass per ampliare la loro eco internazionale. Lo svolgimento delle due conferenze nella stessa città della Crimea è altamente simbolico e comporta tra le altre cose un’approvazione da parte dei partecipanti dell’annessione della penisola da parte della Russia. Entrambe le conferenze, sia quella “di sinistra” sia quella di destra hanno visto come organizzatore Aleksey Anpilogov, un ultranazionalista russo che è regolare collaboratore della rivista di estrema destra Zavtra ed è in stretto contatto con il suo direttore, il neofascista Aleksander Prokhanov. Quest’ultimo fa parte dell’Izborsky Club, un think-tank dell’estrema destra con sede a Donetsk presieduto dal “governatore popolare” della Novorossiya, Pavel Gubarev, e alle cui riunioni partecipa anche Igor Druz, braccio destro di Igor Strelkov, che è stato comandante militare della RPD fino al mese scorso. Per “Zavtra”, lo ricordiamo, scrivono regolarmente sia Strelkov che l’ex premier della RPD, Aleksander Boroday, e anche l’estremista di destra Aleksander Dugin, padre spirituale del neofascismo russo e della dirigenza del Donbass, nonché direttamente legato al regime di Putin – Strelkov, Boroday e Dugin sono tra l’altro tutti e tre membri dell’Izborsky club.

La prima conferenza di Yalta si è tenuta nella città sulle coste della Crimea il 6-7 luglio e ha visto come organizzatore, insieme a due fondi gestiti da Anpilogov (naturalmente presente all’incontro) anche l’Istituto per le Ricerche Globali e i Movimenti Sociali del noto attivista di sinistra russo Boris Kagarlitsky. Kagarlitsky da tempo è schierato con i separatisti del Donbass, la cui azione è secondo lui frutto di una mobilitazione di “massa” (l’attivista però, come alcuni altri singoli che diffondono a sinistra questa tesi, si è sempre astenuto nel fornire qualche fatto concreto a sostegno di questa tesi), ed è perfettamente a conoscenza del fatto che le “repubbliche” siano guidate da estremisti di destra, ma giudica la cosa irrilevante. Kagarlitsky però non si è limitato a dare un sostegno a questa (inesistente) mobilitazione di massa, ma è giunto addirittura a frequentare di persona noti neofascisti filo-separatisti. Sull’attivista e studioso pesa poi un altro fatto compromettente, quello cioè che il suo istituto ha ricevuto un finanziamento dal Cremlino, una cosa ben strana per chi si definisce un socialista rivoluzionario. Alla conferenza hanno preso parte altri attivisti di sinistra, tra i quali Alan Freeman di Socialist Action, e Richard Brenner di Workers Powers. Per l’Ucraina c’era Aleks Albu, leader del gruppo neostalinista Borotba, legato ai neofascisti della Novorossiya e sul quale torniamo sotto. Ma accanto agli esponenti di sinistra c’erano anche estremisti di destra, come Vladimir Rogov, leader di due organizzazioni russe ultranazionaliste e apertamente omofobe come la Guardia Slava e la Lega Internazionale di San Giorgio. L’omofobia, lo ricordiamo, è stata uno dei cavalli di battaglia dell’Antimaidan dal quale poi sono scaturite le “repubbliche popolari” e secondo i cui militanti c’era il rischio che, nel caso di una vittoria di Maidan, il paese cadesse nelle mani della “gayvropa”. L’anno scorso la Guardia Slava si è messa in vista tappezzando il centro della città di Zaporozhie con manifesti raffiguranti da una parte una parata militare e dall’altra una parata del gay pride, immagini accompagnate dalla scritta: “A quale parata prenderà parte vostro figlio?”. L’omofobia d’altronde ha fatto direttamente irruzione alla prima conferenza di Yalta con il discorso di Vasiliy Koltashov, vicedirettore dell’Istituto di Kagarlitsky, il quale ha dichiarato che “la lotta contro le nuove autorità di Kiev è una lotta contro l’Ue, non solo nella forma di un rifiuto delle politiche di distruzione della famiglia e delle relazioni eterosessuali, ma anche come rifiuto dell’interezza delle politiche antisociali e neoliberali delle élite occidentali” – omofobia e anticapitalismo vanno a braccetto, qualcosa di impossibile per la sinistra, ma che è assolutamente una regola tra i “neofascisti sociali”. Alla fine la conferenza ha pubblicato un “Manifesto del Fronte Popolare di Liberazione dell’Ucraina, della Novorossiya e della Russia Transcarpatica” zeppo di parole di “indirizzo sociale” talmente generiche che, non a caso, potrebbero essere sottoscritte da qualsiasi neofascista della corrente “anticapitalista”. Inoltre questo Fronte Popolare è inesistente, è solo il titolo altisonante dato alla dichiarazione messa a punto da qualche decina di attivisti di sinistra e di estrema destra riunitisi a Yalta – nonostante questo è stato redistribuito in Italia da Contropiano senza spiegazioni, con il rischio che a sinistra si pensi che il Fronte Popolare sia un’organizzazione realmente attiva.

Il 29 e 30 agosto a Yalta si è tenuta un’altra conferenza, il cui organizzatore è stato ancora una volta l’ultranazionalista russo Aleksey Anpilogov, lo stesso che ha organizzato la conferenza di Yalta “di sinistra” con Kagarlitskiy. Questa volta la conferenza è stata chiaramente il tentativo di raccogliere a sostegno delle politiche del Cremlino e delle “repubbliche” separatiste la “crème” del neofascismo europeo. Annunciata tra gli altri dal quotidiano “Izvestiya”, una delle principali voci del Cremlino, la conferenza alla fine ha visto la partecipazione di un numero inferiore di estremisti di destra europei e russi rispetto a quelli originariamente invitati, ma la partecipazione è stata comunque significativa. Come c’era da aspettarsi, non hanno preso parte all’evento Igor Strelkov e Aleksandr Boroday, rispettivamente comandante militare e premier della RPD tornati a Mosca dopo avere svolto la loro missione iniziata nell’aprile scorso con la creazione della “repubblica”. A rappresentare i separatisti della “Novarossiya” c’erano però nomi importanti, come il noto comandante Mozgovoy della Repubblica di Lugansk, Igor Druz, mano destra del comandante Strelkov, e l’ex “presidente” della RPD, Pushilin, che attualmente si occupa degli aspetti umanitari. Per il Cremlino c’era un pezzo grosso come Sergey Glazev, consigliere personale di Putin, che si è occupato tra le altre cose dell’organizzazione dell’Unione Doganale tra Russia, Bielorussia e Kazakistan. Per l’estrema destra europea c’erano l’italiano Roberto Fiore di Forza Nuova, Mateusz Piskorski del partito di estrema destra polacco Samooborona, il nazista belga Luc Michel del Partito Comunitario Nazional-Europeo (da anni impegnato per stabilire un’unione tra neofascisti ed estrema sinistra) e il noto antisemita Israel Shamir. Accanto a loro molti ultranazionalisti ed estremisti di destra russi. Gli interventi sono stati scontati, tutti incentrati sulla lotta per la Novorossiya e su temi cospirativi. Il particolare importante è che le due conferenze si sono tenute a breve distanza nella stessa sede, con lo stesso organizzatore e con lo stesso obiettivo programmatico di un sostegno alle “repubbliche” separatiste. Non sono fatti casuali. La presenza di un pezzo grosso del Cremlino ha dato poi un tono di ufficialità al tutto. Tra l’estrema destra russa e del Donbass è in atto un chiaro tentativo di conquistare nuovi spazi, con la sanzione delle autorità russe, coinvolgendo anche l’estrema sinistra naturalmente in posizione di gregario o, detta più brutalmente, di utile idiota. Il tentativo sta evidentemente ottenendo qualche successo.

Negli scorsi mesi tentativi parziali sono stati fatti, con successi alterni, anche sul fronte della sinistra tedesca. Tre rappresentanti di Die Linke hanno preso parte nel mese di marzo a un gruppo di “osservatori internazionali” del referendum in Crimea convocato da un’organizzazione russa vicina al Cremlino – a parte Die Linke, un esponente del Partito Comunista Greco (notoriamente stalinista) e un deputato di Forza Italia, del gruppo facevano parte esclusivamente membri dell’estrema destra europea, dal Fronte Nazionale francese agli ungheresi di Jobbik all’italiana Fiamma Tricolore. Nel mese di giugno organizzazioni antifasciste tedesche hanno organizzato la presentazione di un libro, “Neonazisti ed Euromaidan”, scritto da due russi, Stanislav Byshok e Aleksey Kochetkov (quest’ultimo già membro del gruppo neonazista RNE di cui ha fatto parte anche il “governatore popolare” della RPD, Pavel Gubarev). Grazie alla denuncia dettagliata di alcuni anarchici su Indymedia l’evento è stato cancellato all’ultimo momento: i due autori sono neonazisti ampiamente noti sia in Russia che in Ucraina. Erano stati consigliati agli ignari antifascisti tedeschi da Sergey Kirichuk, uno dei leader del gruppo neostalinista ucraino Borotba, che essendo ucraino non poteva non sapere delle posizioni naziste dei due, denunciati a più riprese in passato dalla sinistra antistalinista ucraina. Kirichuk era in rapporti diretti con Byshok e Kochetkov. Non è una cosa strana per un militante di Borotba, un gruppo autoritario, scaduto a più riprese in posizioni antisemite e omofobe e che, soprattutto, da tempo collabora con forze di estrema destra e oggi sostiene attivamente le “repubbliche separatiste” in posizione totalmente subalterna ai neofascisti alla loro guida (si veda su Borotba, in russo: http://nihilist.li/2014/06/19/ot-melkih-moshennikov-do-ubijts-ocherk-o-politicheskoj-e-volyutsii-stalinistov-na-primere-organizatsii-borot-ba/ e http://nihilist.li/2014/08/08/krasny-e-snaruzhi-bely-e-vnutri-eshhe-nemnogo-o-borot-be-i-ee-soyuznikah/, in tedesco:https://linksunten.indymedia.org/de/node/117286&usg=ALkJrhjOtmF4kPeZymE2U-UC8IZ9QBxY1g, in inglese, francese e altre lingue: http://avtonomia.net/2014/03/03/statement-left-anarchist-organizations-borotba-organization/). Nonostante questo, sia Borotba sia Kirichuk personalmente sono i “compagni” di riferimento in Ucraina di Die Linke, nonché di altri partiti europei della Lista Tsipras, come per esempio Sinistra Bulgara

L’estrema destra italiana: Forza Nuova e la Lega Nord

Come già menzionato, al secondo incontro di Yalta era presente il leader dei neofascisti di Forza Nuova, Roberto Fiore. Tornato dalla conferenza, Fiore si è fatto intervistare dal sito di Forza Nuova – riportiamo qui di seguito le sue dichiarazioni, che non hanno bisogno di commenti: “D- Fiore, è vero che ha partecipato dal 29 al 31 agosto al meeting internazionale “Russia, Ucraina, Nuova Russia: le questioni globali e le sfide” ospitato dalle autorità russe a Yalta in Crimea? Qual è stato il contributo di Forza Nuova? R – Sì, oggetto degli incontri, a cui ha preso parte anche l’assistente del presidente Putin, Sergei Glazyev, è stato il progetto relativo alla creazione di un fronte contrario ad ogni ipotesi di guerra, con particolare riferimento alla crisi ucraina. La Russia ha ben compreso che il conflitto è stato scatenato dalle oligarchie antieuropee per allontanare definitivamente l’Europa dal rapporto forte che, ormai da qualche anno, la lega alla Russia sia sul terreno economico e commerciale che su quello etico-politico; è un dato certo, però, che i popoli europei non hanno alcuna intenzione di arrivare ad uno scontro armato contro la Russia. Nel corso del mio intervento ho sostenuto con chiarezza che, qualora prendesse piede un tentativo di protesta “colorata” eterodiretta contro Putin, Forza Nuova manifesterà per sostenerne le ragioni e per dimostrare che in Europa c’è chi guarda con favore alla Russia e al suo profilo di difesa dei valori tradizionali. Siamo convinti, e con noi lo sono tanti movimenti a noi vicini che scenderanno in piazza in molte città d’Europa, che una crociata antiliberale potrà essere vincente se la Russia si proporrà in modo sempre più deciso quale forza catalizzatrice della grande tradizione europea. A questo proposito, parteciperemo presto, con una nutrita delegazione di FN, ad un grande evento, che si terrà al Cremlino, promosso dal World Congress of Families, a difesa della famiglia tradizionale”. Oltre al World Congress of Families, in Russia si terrà nei prossimi giorni un’altra grande iniziativa, il Forum Nazionale Russo, che, come spiega nei dettagli Jacopo Custodi in un suo articolo per “East Journal”, sarà con ogni probabilità un ennesimo foro europeo dell’estrema destra e potrebbe vedere la partecipazione di Jobbik, Alba Dorata, Fronte Nazionale, Partito delle Libertà Austriaco, Forza Nuova.

Indipendentemente da una breve e superficiale infatuazione per Svoboda, subito spentasi con Maidan, Forza Nuova coltiva da tempo i contatti con i neofascisti russi e da marzo scorso è diventata grande sostenitrice del modello ultraconservatore russo impersonato da Putin. Fiore già nel 2012 mandava un messaggio di auguri al congresso fondativo della Alleanza Conservativa di Destra (ACD), il nuovo nome che il gruppo neonazista Russkiy Obraz (Immagine Russa) si è dato dopo che alcuni suoi membri erano stati arrestati per brutali omicidi. Uno di questi è Ilya Goryachev, al quale Roberto Fiore, sempre nel 2012, ha concesso personalmente una lunga intervista pubblicata dal sito neofascista russo “Modus Agendi”. Ricordiamo che l’ACD ha partecipato direttamente alla fondazione della RPD a inizio aprile attraverso uno dei suoi leader, il neonazista Aleksandr Matyushin, che oggi è comandante delle forzi speciali della RPD. Inoltre simboli di Immagine Russa sono stati visibilmente presente alla “Marcia Russa” del 4 novembre 2013, un’iniziativa neofascista alla quale hanno preso parte molti dei futuri fondatori della RPD che oggi sono ancora alla sua guida, come Andrey Purgin e Aleksandr Khryakov.

Come ha documentato Saverio Ferrari sulle pagine del “Manifesto”, c’è un sempre maggiore avvicinarsi dei neofascisti italiani, Forza Nuova compresa, alla Lega Nord, che sta rilevando il “ruolo di garante per la galassia neofascista nei termini di coperture istituzionali, sdoganamenti e alleanze elettorali”. Non è quindi un caso che anche la Lega Nord abbia una sua “linea russa”, che si ricollega all’estremista di destra russo Aleksandr Dugin, cioè l’onnipresente padre spirituale dei neofascisti della RPD. Il 4 luglio Dugin è sceso a Milano in occasione del convegno “La sfida Eurasiatica della Russia”, tenutosi all’Hotel Cavalieri, che è stato più volte sede di convegni dell’estrema destra. L’iniziativa è stata organizzata dall’associazione Lombardia Russia, che è presieduta da Gianluca Savoini, “un fedelissimo di Matteo Salvini”, come scrive il “Giornale”. L’evento è stato un’altra occasione per riunire a convegno esponenti dell’estrema destra: secondo i reportage disponibili vi hanno presenziato Mario Borghezio della Lega Nord, Attilio Carelli, segretario della Fiamma Tricolore, Roberto Jonghi Lavarini di Progetto Nazionale e Maurizio Murelli di Orion. Il 10-15 ottobre Salvini si recherà poi in viaggio a Mosca, dove prevede di incontrarsi con Aleksey Puskov, presidente della Commissione esteri della Duma, alcuni ministri e, naturalmente, anche con Aleksandr Dugin, con la speranza di incontrare in via non ufficiale addirittura Putin. Come spiega sempre il “Giornale”, “Dietro le quinte [vi è] il lavoro di un’associazione culturale molto vicina al Carroccio, «LombardiaRussia» (che si presenta come «apartitica ma con idee molto precise che combaciano pienamente con la visione del mondo enunciata dal presidente della Federazione Russa»), presieduta da Gianluca Savoini fedelissimo del segretario, e come presidente onorario Alexey Komov, ambasciatore russo all’Onu. Proprio Komov era in prima fila al congresso della Lega a Torino, quando è stato incoronato Salvini, tra gli ospiti internazionali insieme al coordinatore del partito putiniano Viktor Zubarev. Salvini e Savoini, poi, sono stati ricevuti dall’ambasciatore russo in Italia, che li ha tenuti per due ore in udienza privata. Ma cosa c’è dietro questo inedito asse padano-putiniano? Lo spiega Salvini stesso, più volte intervistato dai network della federazione russa, dalle tv Russia Today (che sta confezionando un reportage su Scozia, Catalogna e fenomeno Lega Nord) e Rossija 1 (rete pubblica russa che ha inviato sue troupe all’ultima Pontida e ai congressi del Carroccio), ai giornali. L’obiettivo della sua Lega? «Liberarci da Bruxelles, da un’Unione europea che è un massacro, e quindi permettere ai nostri artigiani di tenersi il frutto del loro lavoro senza dipendere da Roma, da Berlino e anche, a livello internazionale, guardando a Est verso la Russia, visto che gli Stati Uniti fanno solo il loro interesse». Il primo passo (un po’ zoppo, perché non si è costituito in un gruppo parlamentare a Strasburgo) è stata l’alleanza politica con gli altri partiti euroscettici, in primis il Front National della Le Pen. Il secondo passo è il posizionamento sulla Russia e la sfera d’influenza eurasiatica. Quel Putin con cui – spiega Salvini ai suoi – il Carroccio condivide molti punti: la lotta all’immigrazione selvaggia, la difesa dell’identità, della famiglia tradizionale, il principio di autodeterminazione dei popoli. Anche sull’Ucraina, perché «la gente deve poter scegliere, in Veneto, in Scozia come in Ucraina»”.

A sinistra: il sostegno alla “Novorossiya” guidata dai neofascisti

In Italia per fortuna finora non ci sono stati contatti diretti tra estrema sinistra e neofascisti all’insegna del sostegno ai separatisti del Donbass e/o delle politiche di Putin. C’è stata però una totale reticenza sulla grande operazione dei fascisti nel Donbass e sul loro ruolo nel più ampio progetto putiniano di fare della Russia il paese di riferimento dell’estrema destra. Soggetti di sinistra che urlano il loro antifascismo contro Kiev tacciono quando i fascisti sono filorussi o russi, arrivando perfino a sostenerli, nascondendo però sempre al pubblico di militanti che legge i loro materiali la loro vera natura di estrema destra. Si tratta di un atteggiamento politicamente indegno, che apre la strada a quei fascisti che vogliono infiltrare la sinistra, nonché ai progetti guerrafondai e sfruttatori dell’imperialismo russo. Posizioni del genere (con tanto di inviti di un neofascista serbo a iniziative di sinistra) le si erano già viste ai tempi della guerra in Kosovo, ma allora erano limitate a soggetti che si perdevano nel mare di una grande mobilitazione. Oggi di mobilitazioni di massa contro la guerra in Ucraina non ce ne sono, né in Italia né all’estero, e questi piccoli gruppi hanno pieno spazio per imporsi a livello (dis)informativo. Questa sinistra fa propria un’interpretazione degli eventi in Ucraina schiacciata solo sulla geopolitica, proprio come fa la propaganda imperialista. E degli imperialisti fa propria anche la disinformazione ossessiva come arma politica. Inoltre, assimila elementi tipici delle ideologie di estrema destra, dal cospirazionismo paranoico alla “guerra tra culture”. Naturalmente, trovando la giustificazione del loro esistere nella militanza di sinistra, questi gruppi mescolano il tutto con un “antifascismo” che denuncia i fascisti di Kiev ma copre sistematicamente quelli filorussi e con l’invenzione dell’esistenza di un movimento popolare di massa nel Donbass. Anche il loro antimperialismo fa acqua da tutte le parti, visto che avallano quello russo, colpevole di centinaia di migliaia di morti con le sue guerre e dello sfruttamento bestiale di milioni di lavoratori.

E’ vero che i separatisti del Donbass, ivi inclusi i neofascisti al loro vertice, definiscono incessantemente come antifascista la loro “lotta”. Qualunque antifascista accorto però si può facilmente rendere conto di quanto questo “antifascismo” sia solo uno slogan opportunista e nulla più. L’”antifascismo” dei separatisti è solo ed esclusivamente una forma di razzismo contro gli ucraini, considerati collettivamente fascisti, nonostante l’estrema destra alle elezioni abbia raccolto percentuali risibili. Il fatto che il regime di Kiev utilizzi manodopera fascista in uno dei 36 battaglioni che hanno combattuto nell’Ucraina orientale viene amplificato in un’accusa di fascismo all’intero paese (tanto più grottesca alla luce del fatto che fascisti sono al comando della stessa Novorossiya e hanno un ruolo molto più importante e cruento nella Russia che la sostiene). L’”antifascismo” in versione russa propugnato dai separatisti si basa su null’altro che la vittoria militare di Stalin sui tedeschi intesa esclusivamente come dimostrazione della potenza militare russa (non a caso in questo “antifascismo” separatista manca ogni riferimento ai partigiani). Proprio per questo nel “mondo russo” è assolutamente normale che nelle manifestazioni le bandiere naziste sventolino tranquillamente accanto a quelle rosse dei “comunisti”, come è successo per esempio anche ai festeggiamenti per il 1° maggio di quest’anno.

E’ importante notare anche che nessuna delle forze che operano nel Donbass ha mai formulato alcuna critica, anche solo grezza, del fascismo come tale. Gli slogan antifascisti vengono quindi intesi unicamente come strumento per coalizzare intorno a sé settori minoritari nostalgici dell’Urss. Come ha spiegato un’ultranazionalista di destra che combatte con i separatisti del Donbass, rispondendo a una domanda del sito russo Gazeta, che gli chiedeva se non gli desse fastidio l’uso da parte delle “repubbliche” separatisti di elementi dell’estetica e dell’ideologia sovietica, e in particolare della vittoria nella Seconda guerra mondiale: “Tra i nazionalisti russi non c’è un atteggiamento negativo nei confronti della guerra, e della vittoria nella Seconda guerra mondiale in quanto tale. […] E’ parte dell’identità dei russi nell’Ucraina sud-orientale e sarebbe stupido rimproverarglielo. Io sono assolutamente antisovietico, ma non mi dà fastidio il sovietismo di alcune persone […] perché hanno vissuto negli ultimi 25 anni in un vuoto per quanto riguarda la Russia. E quello che loro ricordano è la Russia dei tempi sovietici. E’ stupido pensare che qui ci troviamo di fronte a qualche forma di resistenza sovietica”. D’altronde, a tale proposito è esemplare il caso del movimento neonazista russo Russkoe Natsyonalnoe Edinstvo (RNE, Unità Nazionale Russa), un cui battaglione di volontari combatte nel Donbass nell’ambito delle “repubbliche” dopo avere frettolosamente sostituito nelle proprie bandiere un’imitazione della svastica con una croce ortodossa. Il suo leader Aleksander Barkashov, da alcuni decenni neonazista convinto e attivo, si è messo anche lui a parlare per opportunismo di una lotta contro il “fascismo”. Il termine fascismo, nella bocca dei separatisti del Donbass, ha perso ogni significato reale, proprio così come il termine “antifascismo” lo ha perso per tanta sinistra, a cominciare dagli ucraini filoseparatisti di Borotba che si dichiarano antifascisti, ma poi agiscono attivamente a fianco dei fascisti sottoponendosi alla loro egemonia. Gli specchietti per allodole per le persone orientate a sinistra sono più di uno – per esempio collabora con l’estrema destra separatista anche il Partito Comunista Ucraino, che sventola le sue bandiere rosse in piazza con i fascisti delle “repubbliche”, e che nonostante il nome è un partito da anni strettamente connesso agli oligarchi (cioè ai capitalisti), di cui promuove gli interessi, favorevole a leggi liberticide e omofobo, cioè completamente avulso dalla sinistra realmente antifascista.

In Italia sono svariati i soggetti che sostengono attivamente i separatisti. Si va dai Comunisti Italiani, fino al sito PopOff, al gruppo Contropiano e a una serie di gruppi rock. Tutti questi gruppi aderiscono acriticamente alla simbologia e ai nomi di estrema destra utilizzati dai separatisti. Per esempio è diffuso anche in Italia tra questi gruppi l’uso di un simbolo sciovinista dell’impero zarista come il nastro di San Giorgio, non a caso vietato subito dai bolscevichi quando hanno conquistato il potere nel 1917 (per i dettagli si veda il nostro “La deriva di una parte della sinistra riguardo all’Ucraina”). Si dà poi sostegno al progetto della Novorossiya, cioè di uno stato russo dell’Ucraina orientale dove la popolazione di nazionalità russa è in minoranza, senza domandarsi da dove venga questo nome (che in italiano è “Nuova Russia”). E’ semplicemente il nome affibbiato a queste regioni abitate da ucraini dall’impero zarista quando le ha conquistate con la forza, per poi colonizzarle, sfruttarle brutalmente e sottoporle a repressioni omicide. Come è possibile per chi si dice di sinistra dare sostegno a un progetto che si ispira esplicitamente a questa politica? Come può un’antifascista usare questo nome? Non è un caso che la Novorossiya dei separatisti abbia scelto come propria bandiera statale una bandiera che è quasi identica a quella della Russia zarista e come propria bandiera di guerra una bandiera che è quasi identica a quella degli stati schiavisti della guerra di secessione americana. E non è un caso nemmeno che tra i padrini di chi nel Donbass utilizza questa bandiera ci sia un uomo come il già citato estremista di destra Prokhanov che a suo tempo ha invitato David Duke, leader del Ku-Klux-Klan a visitare la Russia.

Larga eco a sinistra hanno i materiali diffusi da Pandora TV, il “canale” di Giulietto Chiesa, e da Claudio Fracassi dalle pagine del sito PopOff. E’ sufficiente dare loro un’occhiata per capire che si tratta di un’ossessiva pubblicazione di immagini shoccanti e grandguignolesche, di notizie mai verificabili se non quando sono di fonte Cremlino o di qualche sito cospirativo. Il sito Contropiano invece cerca di presentarsi con una posizione più “politica”, ma cade spesso nel grottesco. Per esempio quando ben due volte, costretto a reagire dal fatto che sono emersi pubblicamente contatti tra neofascisti italiani e i neofascisti alla guida delle “repubbliche” della Novorossiya, il sito ha cercato di fare passare la tesi di una “infiltrazione” dei fascisti italiani. Quando a giugno due esponenti dei “rossobruni” italiani di estrema destra di Millenium sono andati nel Donbass e sono stati ricevuti ufficialmente non da un separatista qualunque, ma dal “governatore del Donbass” Pavel Gubarev, con il quale hanno anche posato per una fotografia, Contropiano ha pubblicato due articoli imbarazza(n)ti (uno e due) nei quali si parla di “tentativi di inquinamento fascista” degli estremisti di destra che “sono riusciti a farsi fotografare con uno dei leaders della rivolta anti-Kiev”. Cosa intende Contropiano? Che i due abbiano minacciato Gubarev per farlo posare con loro nella foto (sul cui sfondo tra l’altro svetta una bandiera “schiavista” della Novorossiya)? L’episodio si è ripetuto non molto dopo, quando in Italia è uscita la notizia che il noto neofascista italiano Andrea Palmeri da inizio agosto è nel Donbass per combattere nelle fila dei separatisti. Di nuovo Contropiano ha pubblicato un articolo grottesco, nel quale si scrive che “Ovviamente Palmeri e Forza Nuova sanno benissimo che è difficile, se non impossibile, andare in giro a suon di saluti romani, celtiche e svastiche in una zona dove l’antifascismo è viscerale, profondo, una pregiudiziale [!!! – a.f.] perché tutti hanno bene impressa nella memoria la tragedia rappresentata dalla Grande Guerra Patriottica e mostrano fieri il nastro di San Giorgio. Così è plausibile pensare che Palmeri all’esercito del Donbass non la stia raccontando tutta”. A parte il fatto che è grottesco scrivere che nel Donbass l’antifascismo è viscerale, basta fare un salto nella pagina facebook di Pavel Gubarev per capire che i separatisti sanno benissimo che Palmeri è un fascista e che la cosa gli va benissimo. Il “governatore popolare del Donbass” ha postato nel suo profilo l’8 settembre alle ore 14:44 il seguente commento (ancora online nella data di oggi e che ho fotografato nel caso in cui dovesse essere cancellato): “Nella nostra milizia un mese fa è venuto un italiano, un fascista autentico. Quando gli ho chiesto le sue motivazioni mi ha risposto: ‘Loro (i nazi ucraini)- non sono dei veri fascisti perché sono proamericani. Distruggendoli, combatto contro gli Usa’. Ben detto!”. Quindi, come nel caso di Millenium, la dirigenza delle “repubbliche” sa perfettamente che si tratta di fascisti e la loro presenza è più che gradita, altroché “tentativi di infiltrazione”!
D’altronde Contropiano pubblica sull’Ucraina articoli che farebbero una loro ottima figura in un sito di estrema destra “rossobruno”, come quello di Giuseppe Amata del 21 settembre scorso, nel quale l’autore, dopo avere elogiato le politiche di Stalin, parte con teorie cospirative sul “colpo di stato” in Ucraina e l’accerchiamento della Russia per buttarla poi su di un “nazional-culturalismo” tipico dell’estrema destra: “Lo spirito nazionale in Russia è molto forte e si basa su uno storico retroterra culturale che affonda le radici nella storia del mondo slavo, del quale la Russia è stata ed è protagonista principale. Ma le vicende della Russia moderna e contemporanea sono state e sono interessate non solo dall’espressione di questa cultura bensì dall’importazione ad ondate di aspetti ideologici e culturali del capitalismo occidentale, prima dall’Europa oggi dagli Usa, per schiacciare la tradizione slava”. Quello di un’inesistente omogeneità panslava è un cavallo di battaglia dell’estrema destra e dello sciovinismo russo in genere. Quando si parla di Ucraina evidentemente tutto è permesso. In un altro degli articoli di Contropiano sul Donbass leggiamo il noto scrittore Valerio Evangelisti scrivere quanto segue: “Mi ha impressionato, giorni fa, il reportage da Kiev di una corrispondente di Rai News 24 (ma dove recluta, la Rai, certi soggetti?). Narrava di una mostra in onore dello ‘scrittore ucraino’ Nicolaj Gogol [una conferenza con questo titoli si è effettivamente tenuta a Kiev, non è un’invenzione della giornalista – a.f.]. Domanda: ma lo sapeva, Gogol, di non essere russo? In che lingua scriveva?”. Peccato (per Evangelisti) che Gogol fosse nato in Ucraina e fosse di nazionalità ucraina, e solo in un secondo tempo, nel corso della sua carriera di scrittore, sia passato in modo tormentato a un’identità russa. La sua vita e la sua opera sono state segnate da questa doppia identità, come testimonia una vasta documentazione. E poi l’idea che “se uno scrive in russo allora è russo” (e lo stesso vale per altre lingue) è assolutamente grottesca in generale, e lo è tanto più per quanto riguarda l’Ucraina, dove è del tutto normale essere al cento per cento ucraini e parlare e scrivere in russo. Non stiamo uscendo dal seminato: è una chiara dimostrazione, insieme a tutto il resto, del livello di povertà culturale e di disinformazione di una parte della sinistra che pretende di mettersi in cattedra per insegnarci il “Donbass popolare antifascista”.

Come se non bastasse, entra in campo anche la musica. Il gruppo Banda Bassotti sta compiendo in questi giorni una “carovana antifascista” in Russia e nel Donbass, sotto lo slogan “No pasaran”. Alla luce di quanto da noi documentato si tratta di un’altra impresa grottesca, che si potrebbe definire un’iniziativa di “antifascisti” a sostegno dei fascisti. D’altronde, come abbiamo visto, in generale la situazione nel Donbass da questo punto di vista è assolutamente orwelliana. La Banda Bassotti afferma nella sua pagina che la tournée “antifascista” viene organizzata “in completo accordo con le Milizie Popolari della Novarossija”, cioè con quelle che sono in questo momento un nido pullulante di neofascisti ed estremisti di destra che utilizzano come nome del loro “paese” Novorossiya, un termine programmatico dell’imperialismo sciovinista russo. Senza contare che si tratta poi di persone che, da buoni fascisti, hanno le mani insanguinate visto che hanno seminato nel Donbass un terrore sistematico, con sequestri, torture e uccisioni di oppositori. Nonostante questo la Banda Bassotti è riuscita a ottenere il sostegno di un’altra importante band italiana di sinistra, la Gang.

Sul tema è del tutto latitante anche un soggetto ben più importante di quelli sopra citati, come la Lista Tsipras che, per fortuna senza accomunarsi ai fascisti del Donbass, ripete però molti dei loro cliché amplificati in Italia dai gruppuscoli di sinistra citati sopra. In un pessimo articolo, l’europarlamentare Barbara Spinelli scrive di un Euromaidan egemonizzato da “russofobi”, una cosa assolutamente non vera, parla di “guerra civile” e di un Putin che vive “in un mondo plurietnico, quello russo, che al contempo non può ignorare le proprie genti, se maltrattate negli Stati dell’ex Urss ora indipendenti. Né può essere estromesso dalla Crimea, che fu russa per secoli, fino a quanto Khruschev la ‘regalò’ a Kiev nel 1954. Il porto di Sebastopoli, a sud dell’Ucraina [sic], è sede della flotta del Mar Nero: permanenza sancita da un ventennale accordo russo-ucraino stipulato nel ’97 ed estesa nel 2010 per altri 25 anni”. Ne dobbiamo dedurre che l’imperialismo russo “plurietnico” (!) è giustificato, che l’annessione con la forza della Crimea è un diritto ancestrale della Russia e che le basi militari, quando sono di Putin, sono da tutelare – e che una forza di sinistra sottoscrive tutto questo? Spinelli poi lamenta che Ue e Usa non denunciano la presenza di nazisti nei battaglioni di Kiev – “Su questa devianza tacciono l’Europa, gli Usa, la stampa mainstream”, come tace Spinelli, aggiungiamo noi, sui fascisti a capo delle milizie del Donbass. Come ha commentato qualcuno in Facebook: “Barbara Spinelli scrive, in un demenziale articolo sull’Ucraina, che ‘la terza guerra mondiale che oggi stiamo rischiando nasce dagli stessi vizi: incompetenza, forme di ignoranza militante, scarsa prudenza, infine sterile agitazione’. Parla degli altri, ma senza volerlo si descrive perfettamente”. Se in Italia questa sinistra vociferante continuerà a prevalere, l’isolamento del movimento tra la gente non potrà che crescere, da una parte, e i fascisti, insieme agli imperialisti, troveranno sempre meno ostacoli, dall’altra.

La guerra in Europa non è un’idea folle

di Anne Applebaum (da Varsavia) – The Washington Post

Molte volte nella mia vita da adulta, mi sono state mostrate le fotografie polacche della bella estate del 1939: i bambini che giocano al sole, le donne alla moda nelle strade di Cracovia. Ho anche visto la foto di un matrimonio di famiglia che ha avuto luogo nel mese di giugno del 1939, nel giardino di una casa di campagna polacca dove ora abito io. Tutte queste immagini trasmettono un senso di sventura, perché sappiamo cosa è successo dopo. Il Settembre 1939 ha portato l’invasione sia da est che da ovest, l’occupazione, il caos, la distruzione, il genocidio. La maggior parte delle persone che hanno partecipato alle nozze di quel giugno, sono poco dopo morte o fuggite in esilio. Nessuno di loro è mai tornato a casa. 


Col senno di poi, guardando le cose in retrospettiva, tutti ormai sembrano ingenui. Invece di celebrare matrimoni avrebbero dovuto lasciar andare tutto, mobilitarsi, prepararsi per una guerra totale, finchè questo era ancora possibile. E ora mi devo chiedere: Dovrebbero gli ucraini, nell’estate del 2014, fare lo stesso? E dovrebbe l’Europa Centrale seguire l’esempio e fare la stessa cosa?

Mi rendo conto che questa domanda suona isterica, e stupidamente apocalittica negli Stati Uniti o ai lettori dell’Europa occidentale.Purtuttavia questa è un argomento che molte persone della metà orientale dell’Europa stanno discutendo in questo momento. Negli ultimi giorni, le truppe russe portando le insegne la bandiera di un paese sinora sconosciuto, la Novorossiya, hanno marciato attraverso il confine di sud-est dell’Ucraina. L’Accademia Russa delle Scienze ha recentemente annunciato che pubblicherà una storia della Novorossiya questo autunno, presumibilmente facendo risalire le sue origini a Caterina la Grande. Diverse mappe della Novorossiya sono state viste circolare a Mosca. Alcune includono Kharkiv e Dnipropetrovsk, città che sono ancora a centinaia di chilometri di distanza dai combattimenti. Alcune posizionano la Novorossiya lungo la costa, in modo che attraverso di essa si possa collegare la Russia alla Crimea e alla Transnistria, la provincia russa occupata in Moldova.
Anche se inizia come uno stato non riconosciuto (gli “stati” di Abkhazia e Ossezia del Sud, che la Russia ha espropriati alla Georgia, sono il modello qui utilizzato) la Novorossiya può crescere nel corso del tempo.

I Soldati russi dovranno creare questo stato – quanti dovranno essere dipende da quanto duramente Ucraina potrà combattere e da chi li aiuta – ma in ogni caso la Russia avrà bisogno di quancosa in più oltre che di soldati per tenere questo territorio. La Novorossiya non sarà stabile fintanto che sarà abitata da ucraini che vogliono che questo territorio rimanga ucraino. A questo c’è anche una soluzione che viene ripetuta in questo periodo. Pochi giorni fa, Alexander Dugin, un nazionalista estremista russo le cui opinioni hanno contribuito a plasmare quelle del presidente russo, ha rilasciato una dichiarazione straordinaria. “L’Ucraina deve essere purificato dagli idioti”, ha scritto – e poi ha reclamato il “genocidio” di questa “razza di bastardi.”

Ma la Novorossiya sarà difficile da sostenere se ha degli avversari in Occidente. ma ci sono in discussione anche possibili soluzioni a questo problema. Non molto tempo fa, Vladimir Zhirinovsky – membro del parlamento russo e buffone di corte, che a volte dice cose che chi il potere non può – ha sostenuto in televisione che la Russia dovrebbe usare le armi nucleari per bombardare la Polonia e i Paesi Baltici – “stati nani,” come li ha chiamati – e mostrare all’Occidente chi realmente detiene il potere in Europa: “Niente minaccia l’America, è lontana. Ma i Paesi dell’Europa orientale si metteranno da soli sotto la minaccia di un annientamento totale “, ha dichiarato. Vladimir Putin indulge a questi commenti: le dichiarazioni di Zhirinovsky non sono politica ufficiale, il presidente russo dice, ma consente sempre che questo tipo di affermazioni vengano rilasciate.

Una persona ben più seria, l’nalistaa politico internazionale dissidente dissidente russo Andrei Piontkovsky, ha recentemente pubblicato un articolo, sostenendo, secondo le linee che riecheggiano le minacce di Zhirinovsky, che Putin in realtà sta valutando la possibilità di attacchi nucleari limitati – forse contro una delle capitali baltiche, forse contro una città polacca – per dimostrare che la NATO è un vuoto, un’entità senza senso che non osa reagire per paura di una catastrofe maggiore. Infatti, nel corso di esercitazioni militari nel 2009 e nel 2013, l’esercito russo ha apertamente “simulato” un attacco nucleare su Varsavia.

Tutto questo niente altro che un delirio da matti? Forse. E forse Putin è troppo debole per mettere in atto qualcuno di questi punti, e forse sono solo tattiche per far paura, e forse i suoi oligarchi lo fermeranno. Ma il “Mein Kampf” sembrava anche un’opera isterica al pubblico occidentale e ai tedeschi nel 1933. E gli ordini di Stalin di “liquidare” intere classi e gruppi sociali all’interno dell’Unione Sovietica ci sarebbero sembrati altrettanto folli, in quel tempo, se fossimo stati in grado di sentirli .

Ma Stalin ha mantenuto la sua e ha messo in atto le minacce, non perché era pazzo, ma perché ha seguito la sua logica ed il suo modo di pensare fino alle estreme conseguenze con grande dedizione … e anche perché nessuno lo ha fermato. In questo momento, nessuno è in grado di fermare neanche Putin. Quindi è isterico prepararsi per una guerra totale? O è ingenuo non farlo?

http://www.washingtonpost.com/opinions/anne-applebaum-war-in-europe-is-not-a-hysterical-idea/2014/08/29/815f29d4-2f93-11e4-bb9b-997ae96fad33_story.html

La NATO deve resistere alla minaccia di Putin di invadere l’Ucraina

di Kurt Volker e Erik Brattberg – The Washington Post 28 agosto 2014

Vladimir Putin ha fatto la scommessa cinica di poter invadere l’Ucraina solo una settimana prima di un summit della NATO e che la NATO non farà nulla per fermarlo. L’alleanza deve dimostrare che aveva torto.

Nonostante i duri pronunciamenti provenienti da Bruxelles, Washington, Londra e Berlino, il presidente russo ritiene che alla NATO manchi la volontà di sfidare il suo tentativo di disarticolare e dividere l’Ucraina. Con l’invio di truppe, carri armati e artiglieria direttamente all’interno del conflitto ucraino, Putin sta mettendo un punto in chiaro: lui combatterà in Ucraina e la NATO non lo farà. In sostanza sta dichiarando un bluff della NATO.

La risposta occidentale sarà letta con attenzione da Kiev a Tallinn a Mosca. Sia per le questioni dell’integrità dell’Ucraina come Paese, sia per il futuro della sicurezza europea, sia per la credibilità della NATO come organizzazione di difesa, i leader della NATO devono prendere alcune decisioni difficili e respingere militarmente la Russia.

La NATO ha già compiuto notevoli passi militari, positivi per quanto riguarda i suoi membri in Europa Orientale, in particolare in Polonia, Stati Baltici e Romania. L’unico obbligo dell’Alleanza è la difesa collettiva. Questo deve essere sacrosanto. La NATO ha aumentato le misure di polizia aerea nei Paesi Baltici, esteso le esercitazioni, ha promesso di rafforzare la pianificazione del proprio sistema di difesa e ha deciso di schierare forze di terra temporanee in Europa Orientale. Questi passaggi forti obbligheranno la Russia a pensarci due volte prima di espandere la sua aggressione dall’Ucraina agli Stati membri della NATO.

Tuttavia, l’aver tracciato questa chiara linea di demarcazione attorno al territorio della NATO viene letto da Putin come un segnale che i non membri, come l’Ucraina, la Georgia e la Moldova sono – letteralmente – in palio. Con la palese invasione dell’Ucraina Orientale da parte della Russia, la NATO deve ora concentrarsi non solo sulla difesa dei membri dell’alleanza ma anche sulla gestione delle crisi e la proiezione del proprio raggio di azione anche al di là del territorio della NATO.

Per dimostrare che Putin sbaglia, la NATO dovrebbe adottare le seguenti misure al suo vertice in Galles:

● Fornire il supporto diretto della propria intelligence militare al governo ucraino. Questo significa consulenti, formatori, attrezzature e la possibilità di ottenere rinforzo diretto tramite le forse di aria e di terra della NATO. Armi anticarro e sistemi di difesa aerea dovrebbero essere comprese nei supporti. L’esigenza più critica è quella di tattica: aiutare l’Ucraina ad utilizzare il proprio equipaggiamento e le proprie truppe per ristabilire un confine con la Russia, isolare i separatisti ed evitare gli scontri a fuoco nella maggior misura possibile.

● Annullare da parte degli alleati tutte le vendite di materiale militare o a duplice uso alla Russia. Il caso più noto è quello francese riguardante le navi da combattimento ed invasione – Mistral e Sebastopol – ma altri alleati, tra cui la Gran Bretagna e la Germania, devono ancora eliminare tutte le loro vendite verso la Russia. Per quanto riguarda le navi francesi: la NATO dovrebbe comprarle utilizzando il suo budget per le infrastrutture ed impiegarle come componente navale della Forza di risposta della NATO.

● Imporre ulteriori sanzioni – anche contro Gazprom e la sua leadership. La Russia ritiene di fare la parte del leone nel dissuadere una forte azione da parte dell’Occidente, minacciando le forniture energetiche. L’Europa deve sconfessare il bluff della Russia, dimostrando che può sostenere una prova di forza sull’energia meglio di quanto possa la Russia. Gli Stati Uniti e l’Europa dovrebbero anche dare uno slancio agli sforzi europei per la sicurezza energetica – inclusa un’accelerazione nelle consegne in Europa da parte degli Stati Uniti di gas naturale liquefatto (GNL), e nell’istituzione di un sistema comune di finanziamento USA-UE per incentivare la realizzazione di terminali GNL e collegamenti tra gasdotti.

● Stabilire una presenza militare multinazionale NATO sui territori della Polonia e degli Stati baltici. Il Segretario generale della NATO Anders Fogh Rasmussen ha detto questa settimana che ciò può essere realizzato. E ‘fondamentale che la NATO possa prevenire l’espansione dell’aggressione russa – e il miglior deterrente è il dispiego preventivo di forze in campo. Eventuali reclami che tale passo violi l’Accordo Costitutivo NATO-Russia del 1997, sono negati dalla prima clausola stessa dell’impegno da parte della NATO: “. Nell’attuale e prevedibile contesto di sicurezza internazionale…”, perchè oggi le azioni della Russia hanno cambiato radicalmente quel contesto di sicurezza previsto nel 1997.

● Riaffermare l’impegno della NATO per la costruzione di un’Europa unita, libera e pacifica. Il Montenegro è già pronto per l’adesione alla NATO. La Macedonia dovrebbe essere invitata in seguito alla soluzione d’urgenza della controversia per quanto riguarda il suo nome. Alla Finlandia e alla Svezia va ricordato che sono benvenute in qualsiasi momento. E la NATO dovrebbe rinnovare il suo impegno a lavorare con l’Ucraina, la Georgia e gli altri partner sulle riforme necessarie per aiutarli a qualificarsi per l’adesione. La NATO non deve accettare nessun diktat russo sugli affari degli stati confinanti.

Anche se tutto questo non era previsto all’avvio della sua programmazione, il prossimo summit in Galles può essere il più importante incontro NATO dopo quello di Praga nel 2002, quando la NATO ha aggiunto sette stati membri. Il segnale che l’organizzazione invierà la settimana prossima – se intende battersi per la sicurezza europea o cedere all’aggressione russa – si ripercuoterà per l’Europa negli anni a venire.

Kurt Volker è un ex ambasciatore americano presso la NATO e direttore esecutivo dell’Istituto McCain per le Relazioni Internazionali presso l’Arizona State University. Erik Brattberg è visiting fellow presso il McCain Institute e presso l’Istituto svedese per gli Affari Internazionali.

http://www.washingtonpost.com/opinions/nato-must-stand-up-to-putins-threat-to-invade-ukraine/2014/08/28/6097f77e-2ee6-11e4-994d-202962a9150c_story.html

Invasione russa in Ucraina: in Italia black-out informazione per 10 ore mentre Mosca continua a mentire

STRANO SILENZIO DI NOTIZIE.  QUESTO E’ SPIEGABILE, TRA LE ALTRE MOTIVAZIONI, ANCHE CON LA PESANTE CAMPAGNA DI DISINFORMAZIONE MESSA IN ATTO DA PUTIN NEGLI ULTIMI ANNI. MA INIZIANO I PROBLEMI DI CONSENSO PER IL GOVERNO RUSSO A FRONTE DI PALESI BUGIE E SOLDATI CHE NON TORNANO A CASA

Di Gabriele Bonafede

Le notizie dell’invasione russa in Ucraina, stavolta molto più consistente delle precedenti se si eccettua l’occupazione in massa della Crimea di sei mesi fa, sono state taciute dalla stragrande maggioranza dei mezzi d’informazione italiani per almeno 10 ore.

Già alle 23.00 di ieri, ora italiana, la notizia correva sui social network ed era data per certa, ovviamente, dai comandi dell’esercito ucraino. I quali si sono trovati di fronte a una tale quantità di unità corazzate russe da sentire il dovere di comunicare ai propri cittadini, anche con servizi in TV, la gravità della situazione.

Eppure, grandi testate italiane, e molte testate europee, hanno glissato sull’importante fatto. Hanno temporeggiato non parlandone, oppure dando inizialmente la notizia di nuove offensive, ma esclusivamente da parte dei separatisti. Solo nella tarda mattinata, cioè dopo almeno dieci ore a fronte di una notizia di tale portata, i maggiori giornali italiani anno iniziato a parlarne, e per giunta con la solita timidezza snocciolando caute notizie con il contagocce, laddove gli eventi precipitavano in tutta evidenza in contrasto con quanto detto sui supposti colloqui di pace a Minsk: l’esercito russo era, ed è, impegnato in una vera e propria invasione dell’Ucraina senza dichiarazione di guerra

Ci si chiede perché questo black-out dell’informazione, in particolare di quella italiana.

Ci sono molti motivi. Tra questi, spicca la campagna diffamatoria operata dai media russi (e da chi gli da credito) nei confronti dell’Ucraina e dell’UE. Da molti anni la Russia ha organizzato una campagna di destabilizzazione e disinformazione nei confronti del mondo occidentale, incoraggiata dai successi di questa strategia, soprattutto da quando la Russia invase parte della Georgia nel 2008.

È una campagna realizzata con grandi capacità manageriali e finanziarie, e attuata sia per compattare il “fronte interno” russo, sia per minare la credibilità delle istituzioni occidentali.

Per il “fronte interno”, il governo russo ha operato con mezzi coercitivi già rodati da tempo in tutte le dittature: eliminazione dei media d’opposizione, anche attraverso l’eliminazione fisica di giornalisti scomodi (tra i quali spicca il caso della giornalista Anna Stepanovna Politkovskaja, assassinata nel 2006); controllo pervasivo sui media rimasti; legislazione molto punitiva nei confronti delle manifestazioni di dissenso; apparato giudiziario a servizio di quello politico; vaghezza nel sistema fiscale per utilizzarlo a fini politici; riduzione delle libertà individuali; incoraggiamento di posizioni nazionaliste estreme; controllo persino sui social network e le libertà personali, e tanto altro. La lista è molto lunga.

In questo modo, e cioè come facevano con l’informazione Mussolini in Italia, Stalin in Unione Sovietica e Hitler nella Germania nazista, ha modellato l’opinione pubblica russa in modo compatto e creato un consenso molto ampio alle azioni più spregiudicate e vergognose come l’orrenda guerra scatenata in Cecenia e quella in Georgia.

Putin ha anche distrutto la capacità del popolo russo di protestare rispetto a evidenti e allarmanti ingiustizie sociali ed economiche in Russia: ospedali fatiscenti, larghi strati sociali con livelli di qualità della vita molto bassi nonostante i grandi introiti dal mercato energetico a tutto vantaggio di pochi, corruzione diffusa, criminalità diffusa, strutture di servizio pubbliche decadenti, infrastrutture di trasporto in condizioni penose, e molto altro.

Per il fronte esterno, Putin è riuscito a dare alla Russia un’immagine di “Stato-guida” dell’anti-americanismo viscerale e, da alcuni anni, anche anti-europeismo viscerale. Puntando su evidenti pecche del mondo occidentale, americano ed europeo, ha costruito e foraggiato l’anti-occidentalismo preconcetto, quello cioè che è contro l’Occidente per se, qualsiasi cosa faccia l’Occidente, sia essa positiva o negativa.

Anche in Italia, in parte grazie all’amicizia con Berlusconi, Putin è riuscito a convincere larghi strati della popolazione dell’esistenza di una specie di “modello-Russia”, ben imbiancato fuori anche se con molti cadaveri e scheletri dentro. Ha anche raccolto consenso tra i nostalgici del comunismo che ancora oggi scambiano l’URSS con la Russia.

La guerra che ha scatenato in Ucraina, però, sta mettendo a dura prova queste strategie. L’Ucraina, infatti, non è la piccola Georgia, né la Cecenia o la Moldavia. L’Ucraina è una nazione molto grande, estesa quasi quanto la Francia, con circa 40 milioni di abitanti e una diaspora di altri milioni di ucraini sparsi in tutto il mondo, soprattutto in Occidente. Aggredendo e diffamando l’Ucraina, negando anche il diritto all’esistenza dello Stato ucraino in discorsi pubblici, Putin si è alienato una nazione-sorella, un popolo di persone che aveva forti legami culturali e sociali con il popolo russo: una nazione con la quale il popolo russo ha per vari decenni convissuto pacificamente, combattuto insieme per eliminare il nazi-fascismo dall’Europa e dal mondo, vissuto fianco a fianco insieme nel bene o nel male, anche se questa forte amicizia fu profondamente minata da Stalin negli anni ’30 del secolo scorso.

Aggredendo l’Ucraina con la violenza verbale prima e con la guerra poi, cercando di smembrala, e di fatto smembrandola nelle regioni con un retaggio culturale vicino a quello russo, Putin sta ottenendo quello che gli stessi ucraini non avevano mai osato sperare: l’idea stessa di un forte e solido Stato d’Ucraina, oggi forgiata, purtroppo, attraverso dolorosi lutti e distruzioni provocate, appunto, dall’aggressione russa.

L’obiettivo dichiarato di questa guerra fa rabbrividire, ed è simile a quello che cercò di perpetrare, senza successo nonostante milioni di morti, Hitler con la Polonia: la distruzione morale e fisica di uno Stato rinato dopo decenni d’occupazione straniera e la sua riduzione in schiavitù nel bel mezzo dell’Europa. Quest’obiettivo, Putin, lo ha più volte dichiarato pubblicamente, persino due giorni fa a Minsk, dove ha giustificato in anteprima il suo massiccio intervento armato che stava avvenendo in quelle ore, con il diktat all’Ucraina di non associarsi con l’Unione Europea. Anche nei “colloqui di pace” di Minsk, che tutto erano tranne colloqui di pace, Putin ha dunque negato l’esistenza dello Stato dell’Ucraina indipendente nel momento stesso in cui ha stretto la mano all’attuale presidente Poroshenko. Putin in quell’occasione ha infatti dichiarato che sarebbe stata la Russia a decidere per l’Ucraina, utilizzando la forza.

E così è: ora sta tentando di realizzare questo proposito con l’invio del proprio esercito verso Kiev lasciandosi dietro una disumana striscia di sangue, distruzioni e lutti per il popolo ucraino e quello russo.

Così facendo ha però rafforzato, di fatto, l’Ucraina stessa per lo meno dal punto di vista morale e forse anche nel consesso internazionale. Ed ha iniziato a minare anche il sostegno del popolo russo alla sua avventura, proprio come fece Mussolini quando aggredì la Grecia nel 1940 e iniziò a perdere consenso in Italia. Infatti, si possono dire tutte le bugie che si vogliono nei media, ma quando tornano giovani soldati morti, oppure mariti, fratelli, figli e nipoti non tornano affatto, non ci sono bugie che tengano.

http://www.linksicilia.it/2014/08/invasione-russa-in-ucraina-in-italia-black-out-informazione-per-10-ore-mentre-mosca-continua-a-mentire/

La NATO pianifica nuove basi in Est-Europa per contrastare la minaccia della Russia

Da The Guardian 26-08-2014:

…La Nato ha ben chiari i progressi preparati e messi in atto dal presidente russo in Ucraina sin dal mese di Febbraio e si sta muovendo per mettere in campo strategie in vista di una nuova era in cuila Russia ha cambiato il suo ruolo dall’essere un “partner strategico” dell’alleanza ad un attore ostile specialista nell’attuazione quello che nei termini dell’alleanza viene definito come “guerra ibrida”.

Rasmussen, il cui mandato sta volgendo al termine, ha detto: “Dobbiamo affrontare la realtà che la Russia non considera la Nato un partner, la Russia è una nazione che, purtroppo, per la prima volta dopo la seconda guerra mondiale aggredisce i territori di altre nazioni. Ovviamente dobbiamo adattarci a questa evidenza”. Lo stesso, In un’intervista con il Guardian e altri cinque giornali europei, ha detto: “E ‘giusto dire che nessuno si aspettava la Russia cominciasse a rubare territori con l’uso della forza Abbiamo anche visto un notevole cambiamento nell’approccio militare russo e nelle capacità in questo senso sin dalla guerra in Georgia nel 2008.

“Abbiamo visto i russi migliorare la loro capacità di agire rapidamente. Possono all’interno di un molto, molto, poco tempo convertire una grande esercitazione militare in un’operazione militare offensiva.” ….  “Abbiamo rapporti da più fonti che mostrano un coinvolgimento russo piuttosto attivo nella destabilizzazione dell’Ucraina orientale…Abbiamo visto fare fuoco con mezzi di artiglieria lungo il confine e anche dentro l’Ucraina. Abbiamo visto un accumulo di militari e mezzi russi lungo il confine. Chiaramente, la Russia è coinvolta nella destabilizzazione dell’Ucraina orientale … Si vede una sofisticata combinazione di guerra convenzionale classica mescolato con operazioni di informazione e disinformazione primaria.. Ci vorrà ben più della Nato per contrastare efficacemente questa guerra ibrida.”

Se i leader occidentali sono sorpresi ed anche impressionati dal dispiego improvviso di capacità militare da parte russa, l’Ucraina, al contrario, è in una condizione militarmente pietosa, secondo quanto affermato dai funzionari della NATO. “Se noi siamo a due passi dietro i russi, gli ucraini sono 16 passi indietro”, ha detto di recente una fonte della Nato a Kiev. “I loro generali vogliono solo far saltare in aria tutto…ma questa non è una guerra di tiro, qui si tratta di una guerra di informazione.”

Nelle mosse successive per contrastare Putin, la Nato deve intensificare il suo aiuto e la sua collaborazione con l’esercito ucraino.

Il Presidente dell’Ucraina, Petro Poroshenko, deve partecipare al vertice di Cardiff e sarà l’unico Capo di Stato non Nato ammesso a negoziare con i leader dell’alleanza. Quattro “fondi fiduciari” devono essere creati per finanziare la logistica militare dell’Ucraina, le strutture di comando e di controllo, le difese informatiche e anche per pagare le pensioni delle forze armate.

“L’Ucraina farà la propria strada. Ciò sarà dimostrato a Cardiff, perché avremo un incontro di vertice Nato-Ucraina”, ha detto Rasmussen. “In realtà quello che decideremo di fare al vertice sarà di aiutarli a costruire le capacità del loro settore della sicurezza ed a modernizzarlo.”

Il vertice dovrà anche cimentarsi con il problema perenne della ridotta spesa per la difesa europea in un momento di intensa instabilità sulle frontiere orientali e meridionali del continente, nonché con la crescente esasperazione degli Stati Uniti per la riluttanza dell’Europa a finanziare adeguatamente la propria sicurezza.

“Sin dalla fine della guerra fredda abbiamo vissuto un tempo relativamente bello. Ora ci troviamo di fronte a un cambiamento climatico profondo. Ciò richiede più investimenti”, ha detto Rasmussen. “I politici hanno cercato di avere un raccolto di pace dopo la fine della guerra fredda. Questo è comprensibile., Ma ora siamo in uno scenario di sicurezza completamente diverso.”

http://www.theguardian.com/world/2014/aug/26/nato-east-european-bases-counter-russian-threat?CMP=twt_gu